Ritengo doveroso, prima di tutto, definire cosa e' la macchia, termine troppo spesso abusato per identificare una qualsiasi opera di genere paesistico. Questa tecnica consiste nell'annotare, generalmente su una tavola di legno, mediante tarsie di colore poste velocemente in punta di pennello, gli elementi principali di una visione senza inutili descrittivismi e senza affidare all'opera messaggi ideologici e iconologici, ma considerandola mezzo d'analisi di masse, colori e luce. All'apparenza questa forte sintesi puo' risultare quasi elementare, ma la metrica esatta, i giusti calibri e i rapporti tonali rendono l'opera vera e credibile. Devo inoltre chiarire la contraddizione compositiva fra le tavolette e i quadri di maggiore formato destinati alla vendita e alle esposizioni, specificando che entrambi sono espressioni macchiaiole e l'apparente dicotomia e' generata da due esigenze diverse, che trovano la loro congiunzione nello scopo di portare avanti il rinnovamento delle arti figurative. E questo perche' sia il piccolo formato abbreviato che la grande tela piu' particolareggiata e prospettivamente piu' costruita sono accomunate dalla lotta che i Macchiaioli fecero alla pittura epica di stampo neoclassico e romantico, propagandata dall'Accademia, per spogliare le opere di alti significati etici e morali, calandole in un contesto contemporaneo e rendendole piu' vicine al sentire dell'epoca. Altra tangenza e' data dalla scelta dei soggetti che privilegiavano persone, animali e cose di umile estrazione portandoli a pari valenza di: eroi mitologici e santi, con l'aggravante dell'esecuzione ad abbozzo portata alla dignita'di opera finita e completa .
Tutto cio' suscito' grande scandalo tra la critica a loro contemporanea che li derise e li avverso`, non riuscendo a capire che questi artisti pur fra esitazioni e ripensamenti avevano messo a punto un nuovo linguaggio e se adeguatamente supportati avrebbero potuto porre in maniera piu' ampia e decisiva le basi per lo sviluppo della pittura italiana del Novecento.
Dopo queste necessarie precisazioni mi accingono a illustrare tutta la parabola artistica del movimento macchiaiolo che prende avvio ispirandosi alla pittura romantica francese e in special modo alla sua corrente piu' vicina al realismo, la Scuola di Barbizon , cosi' chiamata dalla localita'a circa sessanta chilometri da Parigi ai margini della foresta di Fontainebleau, dove un manipolo di pittori si era rifugiato per sfuggire alla corruzione della convulsa metropoli e per riappropiarsi di un piu' diretto dialogo con la natura. I pittori del Michelangiolo guardano soprattutto al barbizonnier Charles Daubigny e al suo modo silente e malinconico di ritrattare la natura, quasi ignorando Gustave Courbet e Jean Francois Millet perche' i problemi che assillavano la cultura francese di meta'Ottocento erano molto diversi da quelli italiani.
La Francia gia'unificata da secoli era stata fra le protagoniste della rivoluzione industriale europea; aveva una borghesia solida ma gia'in crisi di crescita e in contrapposizione un consolidato proletariato urbano che aveva preso coscienza di se' attraverso varie lotte e mediante gli scritti di: Baudelaire, Champfleury e Proudhon. In Italia, invece, la borghesia, la nobilta'e il popolo, pur con i vari distinguo, erano uniti dall'intento di dare unita'e indipendenza alla penisola. In campo artistico, nel periodo pre-unitario, la scena era equamente divisa dai movimenti purista e romantico. I puristi che avevano il loro alfiere in Luigi Mussini si rifacevano al Tre-Quattrocento toscano credendo che gli artisti medievali operassero spinti da una genuina fede, la quale doveva illuminare anche la contemporaneita'( queto genere di pittura era amato dal Gioberti e dai neoguelfi ), mentre i romantici, con a capo Giuseppe Bezzuoli, si ispiravano al Cinquecento e al Seicento fiorentini professando la teoria che l'arte doveva essere foriera di significati e di ideali, necessari per infiammare le coscienze e formare veri patrioti; questa pittura era apprezzata dal Mazzini e dai liberali. I due movimenti erano contrapposti ma le divisioni erano piu' di principio che tecniche perche' entrambi operavano con la prospettiva lineare e il colore steso a velature, e restavano ognuno arroccato sulle proprie consolidate posizioni, senza fare ricerca. A complicare un siffatto stato di cose si era aggiunto anche l'aggravamento della crisi dell'Accademia fiorentina gia'iniziata alla fine degli anni Quaranta quando i giovani allievi iniziarono a non riconoscersi piu' in quella istituzionale sclerotica, tacciata anche di propagandare le idee della restaurazione. Prendono cosi' corpo le aggregazioni spontanee dove i giovani pittori iniziano ad andare a scuola dai colleghi piu' anziani e tutti insieme si recano a dipingere all'aperto: non si tratta ancora di pittura dal vero ma iniziava un modo di esprimersi piu' libero.
Questi fermenti animarono il Caffe' Michelangiolo, luogo storico della macchia. Gli artisti che lo frequentavano erano un gruppo variegato che comprendeva tutte le correnti pittoriche di quel periodo: si discuteva di paesaggio ma anche sul modo di riformare, in chiave piu' nuova, il quadro di storia antica aggiornandolo sui registri elaborati da Delaroche che davano uno stampo piu' realistico alle scene storiche. Infatti, alla fine degli anni Cinquanta, era ancora il quadro di storia antica a tenere banco e ad essere ritenuto fondamentale per lo sviluppo di una carriera artistica. Al folto gruppo dei Macchiaioli toscani composto da: Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Serafino De Tivoli, Cristiano Banti, Raffaello Sernesi, Adriano Cecioni e Diego Martelli, dal 1849 al '61 si aggiunsero il napoletano Giuseppe Abbati, il pugliese Saverio Altamura, il veneto Vincenzo Cabianca, il romagnolo Silvestro Lega, il pesarese Vito D'Ancona e piu' tardi il pugliese Giuseppe De Nittis, il ferrareze Giovanni Boldini e il veneziano Federico Zandomeneghi. Gli animi furono ancora piu' infiammati quando Domenico Morelli, di ritorno dal suo soggiorno parigino, illustro` le novita'francesi toccate con mano, quando Filippo Palizzi parlo' delle novita'luministiche della Scuola di Posillipo e quando Nino Costa incito` tutti a dipingere dal vero come stavano sperimentando in quel periodo molti artisti stranieri nella campagna romana, fra cui Camille Corot. Queste discussioni si acuirono ancora di piu' nel 1859 a causa dello scoppio della seconda guerra d'indipendenza, infatti quasi tutti gli artisti del Michelangiolo partirono per il fronte e i pochi che rimasero a casa parteciparono emotivamente all'evento: la totalita'di essi avverti' il quadro di storia antica non piu' attuale e si rivolse alla storia contemporanea coniugando la macchia con i recenti fatti bellici. Nascono cosi', i quadri militari del Signorini.del Lega e del Fattori, che con l'opera: Il Campo Italiano dopo la Battaglia di Magenta vinse uno dei temi del " concorso Ricasoli" . La pittura militare dei Macchiaioli era antieroica. Nelle loro opere non vi erano episodi eclatanti ne' slanci d'ardimento, ma i soldati erano raffigurati nell'atto di compiere il loro dovere, sebbene fossero consapevoli dell'importante momento che stavano vivendo. Per questo motivo dopo il primo periodo post-unitario, il giovane regno, desideroso di mettere sull'altare di una rivoluzione che gia'considerava conclusa nuovi martiri e nuovi eroi, inizia a ignorare la pittura macchiaiola preferendole quella epica di alcuni pittori romantici, visto che anch'essi avevano iniziato a dipingere storia contemporanea. Dopo Villafranca gli artisti, con l'amaro in bocca per l'esito della guerra, rientrarono alla spicciola a Firenze tornando alle loro sperimentazioni artistiche e nel, 1861, superato il primo periodo fortemente polemico e d'avanguardia, detto chiaroscurale, danno vita a composizioni solenni, pausate e di largo respiro. Questo periodo e' detto tonale. I vertici della pittura macchiaiola vengono toccati quasi negli stessi anni dalla " Scuola di Castiglioncello" e dalla " Scuola di Piagentina". La Scuola di Castiglioncello( 1861-1868) ruota intorno alla figura di Diego Martelli, personaggio eclettico e senza dubbio,col Signorini, il maggiore critico del movimento macchiaiolo. Fu iniziato alla cultura proprio dal padre, l'ingegnere Carlo Martelli,uomo colto, depositario fra l'altro del carteggio foscoliano avuto in lascito da Quirina Mocenni, la donna gentile del Foscolo, imparentata con sua moglie Ernesta Mocenni.
Nel 1861 Diego, alla morte del padre, eredita vasti appezzamenti di terreno nella zona di Castiglioncello che vuole amministrare in prima persona, spinto anche dalle ripetute insistenze della madre; se ne occupera'pero' poco e male. La sua natura, infatti rifiutava l'applicazione metodica e fredda del dare e dell'avere in favore di una piu' libera militanza critica che gli permetteva di placare la sua estroversione e le sue geniali intuizioni: non dimentichiamo che fu tra i primi in Europa a capire l'importanza dell'impressionismo. Frustrato da queste sue inadempienze sfogava la delusione in una vita caotica costellata da continui eccessi soprattutto nella sfera sessuale. Frequentando i postriboli fiorentini conosce Teresa Fabbrini e, dopo anni d'incertezze, decide di farne la sua donna e va a vivere con lei nella sua tenuta lontano dall'influenza della madre. Castiglioncello,all'epoca, era un piccolo borgo di pescatori; non esisteva ancora la caratteristica pineta che infatti verra'piantata ai primi del Novecento e tutti i declivi esistenti erano coperti dalla macchia mediterranea che degradava fino al mare. Quale sfida per questi grandi pittori riuscire a riportare nelle loro opere tutte quelle gradazioni di verde da dover accordare con gli azzurri del cielo e del mare, sotto la forte irrorazione del sole mediterraneo che generava netti contrasti di luce-ombra. Durante quei sereni soggiorni, ospiti del Martelli, i nostri artisti dipingevano non in competizione, ma stimolandosi e consigliandosi a vicenda eseguendo spesso un comune soggetto preso per lo piu' nei pressi di casa Martelli e avente per protagonista quella selvaggia natura. A Castiglioncello soggiornano a piu' riprese il Signorini, l'Abbati, il Borrani, il Sernesi e il Fattori; solamente di passaggio il Cabianca. Si tende a fare concludere questo periodo con la prematura morte di Giuseppe Abbati, deceduto nel 1868 per idrofobia in seguito al morso del suo cane Cennino. È necessario suddividere la "Scuola di Piagentina" in due distinte sezioni : la prima che va dal 1862 al 1864 e ha come capofila il Signorini, il quale dipinge lungo le rive dell'Arno in compagnia dei due pittori francesi Langlade e Madier; la seconda che va dal 1865 al 1870 avente come perno centrale SilvestroLega e la villetta di Spirito Batelli, editore fiorentino che vi abitava con la moglie Paolina e le figlie, la maggiore delle quali, Virginia, con alle spalle un matrimonio fallito, avra'con Silvestro un tenerissimo rapporto amoroso. Piagentina era un lembo di terra appena fuori Porta alla Croce, delimitata: dalle mura trecentesche, dai colli di Fiesole e di Settignano e dal fiume Arno. Percorsa dal torrente Affrico e dai canali d'irrigazione veniva per lo piu' coltivata ad ortaggi che rifornivano i mercati cittadini. Questa terra era costellata di cascinali e villette abitate dalla piccola borghesia fiorentina. In una di queste aveva trovato rifugio la famiglia Batelli dopo il fallimento della loro casa editrice. Il Lega, riscaldato dall'amore, ha una fase felicissima della sua carriera artistica e prendendo a modello le sorelle Batelli e le loro amiche Cecchini ci descrive l'interno e le immediate vicinanze della villa facendoci percepire l'ethos di un mondo fatto di piccole cose, quali il lavoro, l'attenzione per l'istruzione e lo svago quotidiano, nonche' e mai come adesso ci comunica anche l'incanto dell'artista per la bellezza femminile. Nascono dei capolavori assoluti come : il Canto dello Stornello, Visita in Villa e il Pergolato, opere eseguite con rigore quattrocentesco, frutto della sua educazione purista; rigore invece assente nel Borrani, altro protagonista di Piagentina, che in quel periodo anche lui dipinge interni borghesi che pero' prestano piu' attenzione alla cronaca e al lusso, visti quasi con un surplus descrittivo, salvato pero', da una sottile vena irinica presentandoci tali dimore come status-simbol. Il Signorini gia'attratto dalle sirene europee, partecipa di rado alla seconda fase piagentinese dipingendo per lo piu' nei pressi del ponte sull'Affrico. Anche l'Abbati riprende quei luoghi dipingendo il famoso capolavoro Stradina Assolata. Quel mondo che non voglio definire sereno ma almeno tranquillo, fu definitivamente spazzato via dal precipitare degli eventi. La famiglia Batelli era minata dalla tisi e molti suoi componenti da alcuni anni convivevano con essa. Ad una ad una periscono la madre e quasi tutte le figlie; nel 1870 per ultima muore Virginia. Silvestro, gia'logorato dallo svolgersi e dall'aggravarsi della malattia della compagna, in preda allo sconforto e a una forte depressione si rifugia nella natia Modigliana e cessa momentaneamente di dipingere. È invece la pittura di Adriano Cecioni a interpretare al meglio il disagio avvertito dalla societa'italiana e toscana a partire dal 1866-'67, quando la piccola borghesia si rinchiude su se stessa e i nostri artisti comprendono che il governo di quella nazione fortemente voluta non imprime corpo alle loro aspirazioni: lo confermano il tradimento di Aspromonte, l'irrisolta questione romana, la dilagante corruzione politica, la sfacciata speculazione edilizia e la loro verita'artistica non compresa. Nel 1870 cessa il lavoro unitario del gruppo perche' gia'morti l'Abbati e il Sernesi, gia'partiti definitivamente per Parigi il De Nittis, il Boldini e lo Zandomeneghi, e gia'impegnati a tempo pieno in una pittura di genere il Borrani e il Cabianca, sopravvissero, per forza di genio, solamente il Lega, che nel periodo del Gabbro si avvicina per affinita'intellettiva e non per emulazione all'impressionismo, il Signorini, che nei soggiorni di Riomaggiore, dell'Elba e soprattutto di Settignano, tocca i vertici fra i piu' alti della sua produzione artistica, realizzando opere caratterizzate da un forte senso della luce e da una spoliazione formale per lui rara e il Fattori. Che ricerca il dinamismo con opere piu' tarde quali: Lo Staffato e lo Scoppio del Cassone. Poi con il debole Cavallo Morto, con Campagna Romana e con quel capolavoro di Coperte Rosse, facendo cosi' anticipa il Realismo e apre la strada a due grandi pittori del Novecento che definirei post-fattoriani: Lorenzo Viani e Ottone Rosai.
Enrico Guarnieri