Enrico Guarnieri
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Presentazione

Enrico Guarnieri, nato a Signa -Fi il 12 settembre 1949, vive a Firenze in via San Donato,14\7.
Da autodidatta ha studiato il Rinascimento toscano, la pittura macchiaiola e gli artisti toscani della prima meta'del Novecento, anche perche' dal 1987 ha seguito i consigli e gli indirizzi tematici che il prof. Raffaele Monti gli aveva indicato.
Dal 2002 fonda l'associazione culturale " Amici del Caffe' Michelangiolo "e dal 2004 al 2007 insieme a Mario Mugnai, primo storico presidente dello Studio7, gestisce la sala culturale Chico Mendes presso il circolo A R C I, di San Donnino. Inoltre dal 2012 al 2018 e' stato presidente dell'associazione culturale " Arte e Spiritualita'" della parrocchia cittadina di San Donato in Polverosa pubblicando alcuni scritti d'arte sul bollettino mensile parrocchiale.
Dal 2011 e' entrato a far parte dello Studio7 Firenze, in qualita'di segretario divenendo dal 2018, in seguito alla prematura scomparsa del compianto presidente Mario Cenni, presidente di questa prestigiosa associazione.
Ha inoltre pubblicato dei saggi sulla rivista Arte e Fede e sul periodico del Rotary Club Firenze Certosa. Ha partecipato e ha allestito conferenze sulla pittura macchiaiola e ha curato mostre d'arte fra le quali : Mostra di pittura di Mario Mugnai e Marcello Bertini -comune di Minucciano -Lu . Agosto 2003 . Vibrazione del Colore nel Paesaggio personale di Marcello Bertini - Caffe' delle Logge , Prato . Maggio 2004 . " Il Centro nella Figura " collettiva di : Roberto Panichi, Leonardo Panichi, Giovanni Mazzi, Marta Gierut e Carmelo Cutuli - Galleria il Paradisino, Modena. Maggio 2005. Personale di Rodolfo Martini con opere della collezione Landi - sala Chico Mendes circolo Arci di San Donnino. Marzo 2006. Personale di Giovanni Mazzi - sala Chico Mendes circolo Arci di San Donnino.
LE SPICCATE INDIVIDUALITÀ CONVERGENTI DELLO STUDIO7
La mostra che noi dello Studio7 Firenze, andiamo a presentare e' da considerarsi come un'importante messa a punto, per definire questo cruciale periodo, che ha totalmente condizionato le nostre esistenze. Periodo in cui , come ben sappiamo, svariate concause socio-politiche e sanitarie hanno minato, a livello mondiale, modificando, le nostre abitudini e le nostre poche certezze generando in noi forti ricadute psico-fisiche. Per questo ritornare, dopo cinque anni, a esporre nelle accoglienti e prestigiose sale del Circolo degli Artisti, Casa di Dante ha per noi un effetto terapeutico e catartico. In altre occasioni, scrivendo del nostro gruppo, mi sono soffermato a illustrare la sua significativa storia ultra cinquantennale e i vincoli di stretta amicizia che ci legano, temi che anche in questa occasione ribadisco. Specificando che la nostra forte coesione ci ha consentito di superare l'handicap di non avere piu' da qualche anno una sede sociale , luogo cardine in cui riconoscersi, anche in virtu' di una psicologica appartenenza. Gli artisti che possiamo ammirare in questa eterogenea, ma armonica esposizione, sono tutti esattamente delineati nei loro intenti, tanto da essere subito riconoscibili, perche' caratterizzati da uno stile che, ognuno di loro, ha affinato in un significativo percorso artistico colmo di eventi e di riscontri. Da queste pareti parlano la forma e la luce,crisalidi che prendono forma in composizioni piu' o meno concrete e che, ognuno di loro, attraverso un'alta qualita'segnico-cromatica immette nel suo artificio. Perche' non scordiamoci che, per sua natura, la pittura e' uno splendido artificio, costantemente in equilibrio tra riproduzione del naturale e visione soggettiva del reale. Ognuno potra'soffermarsi sulle opere di Marco Campostrini, dove viene privilegiata l'essenzialita'espressiva della figura umana, sempre colta in bilico fra lo stabile e l'instabile. Figura umbratile che rivela il suo disagio esistenziale attraverso le sue molteplici pose, bloccate in una staticita'dal sapore arcaico. Sono uomini dai volti scavati dai quali affiora una consapevole dignita'che,ogniuno di loro, ha saputo conquistarsi attraverso l'eroismo del vivere quotidiano. O ammirare l'essenzialita'formale che innerva le sinuose figure antropomorfe di Giovanni Mazzi dove, perfettamente bilanciate, si integrano levita'e imponenza. Questa e' una monumentalita` eroica che ha il suo archetipo in quella michelangiolesca, ma dalla quale si evolve, con una forma dinamica che riempie e domina disadorni spazi di fondo, perfetti palcoscenici, dai quali esporre l'atavica lotta interiore e l'intricato dualismo dell'animo umano. Si puo' anche contemplare il variegato universo di Angiolo Pergolini, frutto delle sue varie attivita'ideative, dove coabitano i temi: della figura umana, dei ritratti sapientemente stilizzati e dei panorami urbani, costellati da torreggianti arrocchi, calati in essenziali notazioni paesistiche. Temi espressi con opere multimateriche di indubbia valenza scenico-formale, nelle quali vengono analizzate l'ancestrale solitudine dell'uomo e il deteriorato rapporto uomo-ambiente. Inoltre si potranno apprezzare le sculture e i disegni di Federica Petrolini, binomio espressivo che , per la sapiente armonia compositiva, dichiara gli studi da scenografa, della sua autrice . Tecniche che trovano la loro congiunzione concettuale e formale nella sottile ma decisa contrapposizione, vero eros e thanatos, che regola nelle sue sculture la ruvida essenzialita'del reperto ligneo con l'articolata e fluida plasticita'della base. Mentre nelle sue grafiche armonie, veri sussulti dell'anima, il contrasto e' affidato al chiaroscuro che diviene allegoria delle nostre antitetiche lacerazioni esistenziali. Si puo' passare poi a considerare le complesse e scenografiche composizioni di Gualtiero Risito, dove un superbo colore-luce inserendosi nell'impasto cromatico lo fa vibrare e lo guida, con un impalpabile filo conduttore, in un un universo fluido e fluttuante popolato da una miriade di simbolici arabeschi che danno corpo a: spirali, ellissi, drappi al vento e labirinti magici, evidenza grafica e metaforica della nostra articolata e altalenante interiorita', dove alternativamente prendono corpo pulsioni contrarie o feconde. E per concludere si possono indagare le opere di Roberto Romoli, dove i suoi graffianti emblemi, posti in un giusto equilibrio fra natura e artificio ci offrono innumerevoli spunti di riflessione socio-esistenziale. Tale alchimia e' offerta dal carattere immmaginifico delle sue composizioni perennemente incentrate su una costante ricerca e rielaborazione dentro quell'universo di sensazioni, emotiva miscellanea, dove i nostri rovelli e le nostre aspirazioni formano la base del nostro essere. La brevissima descrizione che ho tentato di dare dell'opera di ogni singolo artista non vale ovviamente a precisarne la sua totale personalita', ma vuole essere soltanto un elementare cenno esplicativo.

Il presidente dello Studio7 Firenze

Enrico Guarnieri

IL BATTESIMO DI CRISTO DI PIERO DELLA FRANCESCA


L'anno liturgico dedica la prima domenica dopo l'Epifania al Battesimo di Cristo. Con questo atto di umilta', Nostro Signore, ha voluto ulteriormente ribadire l'accettazione della condizione umana. Condizione che caratterizzera'tutto il suo percorso terreno, dall'umile nascita a Betlemme fino alla tragica morte sul Calvario. Questo importante Evento e' stato ampiamente raffigurato, almeno fino al Settecento, in ogni periodo artistico. Fra le tante rappresentazioni ho selezionato quella di Piero della Francesca perche' mi sembra la piu' alta. Pietro di Benedetto dei Franceschi, comunemente noto come Piero della Francesca nasce a San Sepolcro AR fra il 1410 e il '20 e muore nella sua citta'natale nel 1492. Un documento lo ricorda a Firenze nel 1439, collaboratore di Domenico Veneziano ( VE 1406 - FI 1461 ) sui ponteggi di Sant'Egidio, dove perfeziona la sua sintesi luce-colore. Nella nostra citta', in quell'epoca vera fucina d'ingegni, ha modo di meditare sulla solenne volumetria e dignita'degli uomini di Masaccio, sui valori della prospettiva lineare brunelleschiana, sulla teorizzazione che di essa aveva compiuto l'Alberti, sull'astratta solitudine delle figure di Paolo Uccello e sulla luce diffusa del Beato Angelico. Inoltre da Domenico Veneziano apprende il tenero colorismo veneto, senza il quale sarebbero impensabili le stupende sintesi spazio-luce-colore di Pietro. Questo patrimonio culturale raccolto, l'artista lo elabora solitariamente nella sua verita'pittorica, composta da una duplice applicazione visiva: la prospettiva e la proporzione, creando uno stile personalissimo. L'opera era la tavola centrale di un polittico, mai portato a compimento, commissionatogli dall'Abbazia camaldolese di San Sepolcro, dipinta con ogni probabilita'fra il 1440 e il 1460. Questa ampia forbice, per Piero, si rende necessaria perche', in mancanza di documenti, e' arduo datare con esattezza le opere del maestro per l'assenza di notevoli variazioni stilistiche, peculiarita'che contraddistingue tutto il suo corpus pittorico. L'opera, ora alla National Gallery di Londra, ha subito un antico e malfatto restauro che ha portato via le velature piu' epidermiche alterando il rapporto tonale ma non la leggibilita'dell'insieme. L'organizzazione formale del dipinto, dai molteplici significati teologici, e' impostata in fasce a scalare, infatti dalla pienezza della grazia divina, in primo piano, ci si allontana verso un mondo d'indifferenza. La progressiva digradazione delle figure umane crea una scala gerarchica senza tuttavia condurre ad esiti innaturali ma anzi obbedendo in pieno alle regole prospettiche. L'artista colloca l'Evento sacro in primo piano, crea in una zona immediatamente successiva un'azione di aspettativa col catecumeno che si spoglia ed allontana oltre il fiume gli esotici personaggi, indifferenti, che stanno al confine della grazia. Le misteriose figure di orientali che assistono da lontano alla cerimonia possono alludere ai nuovi rapporti con l'Oriente. È soltanto una supposizione, perche' Piero traduce ogni sua ideologia in pura presentazione dell'immagine senza ulteriori sviluppi di narrazione. Tutta l'opera e' concentrata sulla scena principale, dove i personaggi sacri giganteggiano in primo piano. La chioma del grande albero chiude in alto la scena impedendo aeree fughe prospettiche, perche' il pittore vuole mantenere l'Avvenimento in un ambito prevalentemente terreno. Le uniche notazioni trascendenti sono la bellissima colomba, materializzazione dello Spirito Santo e i tre angeli. L'Evento e' permeato di serenita'e concordia, tutto ruota intorno alla figura assiale di Cristo, l'unica ripresa frontalmente, infatti il Battista e i tre angeli sono ritratti di sbieco. L'assialita` di Cristo diviene Suo attributo e metafora della Sua centralita'nell'universo. Nel dipinto riecheggia la classicita'ellenica, infatti il fascino di questo sommo periodo e' presente ovunque, soprattutto nei corpi di Gesu' e degli angeli, derivati dalla scultura greca e nel gesto sospeso del Battista, mutuato dalla statuaria antica. Non solo per questo motivo l'opera e' pienamente rinascimentale ma anche per l'identica altezza di Cristo e del Battista, voluta dall'artista, non certo per degradare Gesu' ma per esaltare l'uomo Battista alle soglie del sacro. Piero usa l'espediente del riflesso d'acqua in primo piano per portare materialmente cielo e terra ai piedi di Cristo. La scena si svolge in un dolce paesaggio coltivato, segnato dalle anse del fiume, che gli esperti identificano nella piana di San Sepolcro. Il colore, in Piero, svolge una funzione primaria, e' un colore -luce che blocca la forma rendendola immortale. In quest'opera l'azzurro freddo del cielo mattutino ribalta in primo piano i colori puri delle vesti degli angeli e il caldo marrone della pelliccia di San Giovanni. Il bianco lucente della Colomba celeste diviene elemento metrico per misurare l'assoluta perfezione divina e caposaldo cromatico per rapportare tonalmente la luminosa scena terrestre. Per questi motivi ritengo il Battesimo di Piero il piu' bello, superiore anche a quello del sodalizio Verrocchio- Leonardo degli Uffizi.
MACCHIAIOLI, UN VENTO NUOVO DA FIRENZE A CASTIGLIONCELLO


Ritengo doveroso, prima di tutto, definire cosa e' la macchia, termine troppo spesso abusato per identificare una qualsiasi opera di genere paesistico. Questa tecnica consiste nell'annotare, generalmente su una tavola di legno, mediante tarsie di colore poste velocemente in punta di pennello, gli elementi principali di una visione senza inutili descrittivismi e senza affidare all'opera messaggi ideologici e iconologici, ma considerandola mezzo d'analisi di masse, colori e luce. All'apparenza questa forte sintesi puo' risultare quasi elementare, ma la metrica esatta, i giusti calibri e i rapporti tonali rendono l'opera vera e credibile. Devo inoltre chiarire la contraddizione compositiva fra le tavolette e i quadri di maggiore formato destinati alla vendita e alle esposizioni, specificando che entrambi sono espressioni macchiaiole e l'apparente dicotomia e' generata da due esigenze diverse, che trovano la loro congiunzione nello scopo di portare avanti il rinnovamento delle arti figurative. E questo perche' sia il piccolo formato abbreviato che la grande tela piu' particolareggiata e prospettivamente piu' costruita sono accomunate dalla lotta che i Macchiaioli fecero alla pittura epica di stampo neoclassico e romantico, propagandata dall'Accademia, per spogliare le opere di alti significati etici e morali, calandole in un contesto contemporaneo e rendendole piu' vicine al sentire dell'epoca. Altra tangenza e' data dalla scelta dei soggetti che privilegiavano persone, animali e cose di umile estrazione portandoli a pari valenza di: eroi mitologici e santi, con l'aggravante dell'esecuzione ad abbozzo portata alla dignita'di opera finita e completa .

Tutto cio' suscito' grande scandalo tra la critica a loro contemporanea che li derise e li avverso`, non riuscendo a capire che questi artisti pur fra esitazioni e ripensamenti avevano messo a punto un nuovo linguaggio e se adeguatamente supportati avrebbero potuto porre in maniera piu' ampia e decisiva le basi per lo sviluppo della pittura italiana del Novecento.

Dopo queste necessarie precisazioni mi accingono a illustrare tutta la parabola artistica del movimento macchiaiolo che prende avvio ispirandosi alla pittura romantica francese e in special modo alla sua corrente piu' vicina al realismo, la Scuola di Barbizon , cosi' chiamata dalla localita'a circa sessanta chilometri da Parigi ai margini della foresta di Fontainebleau, dove un manipolo di pittori si era rifugiato per sfuggire alla corruzione della convulsa metropoli e per riappropiarsi di un piu' diretto dialogo con la natura. I pittori del Michelangiolo guardano soprattutto al barbizonnier Charles Daubigny e al suo modo silente e malinconico di ritrattare la natura, quasi ignorando Gustave Courbet e Jean Francois Millet perche' i problemi che assillavano la cultura francese di meta'Ottocento erano molto diversi da quelli italiani.

La Francia gia'unificata da secoli era stata fra le protagoniste della rivoluzione industriale europea; aveva una borghesia solida ma gia'in crisi di crescita e in contrapposizione un consolidato proletariato urbano che aveva preso coscienza di se' attraverso varie lotte e mediante gli scritti di: Baudelaire, Champfleury e Proudhon. In Italia, invece, la borghesia, la nobilta'e il popolo, pur con i vari distinguo, erano uniti dall'intento di dare unita'e indipendenza alla penisola. In campo artistico, nel periodo pre-unitario, la scena era equamente divisa dai movimenti purista e romantico. I puristi che avevano il loro alfiere in Luigi Mussini si rifacevano al Tre-Quattrocento toscano credendo che gli artisti medievali operassero spinti da una genuina fede, la quale doveva illuminare anche la contemporaneita'( queto genere di pittura era amato dal Gioberti e dai neoguelfi ), mentre i romantici, con a capo Giuseppe Bezzuoli, si ispiravano al Cinquecento e al Seicento fiorentini professando la teoria che l'arte doveva essere foriera di significati e di ideali, necessari per infiammare le coscienze e formare veri patrioti; questa pittura era apprezzata dal Mazzini e dai liberali. I due movimenti erano contrapposti ma le divisioni erano piu' di principio che tecniche perche' entrambi operavano con la prospettiva lineare e il colore steso a velature, e restavano ognuno arroccato sulle proprie consolidate posizioni, senza fare ricerca. A complicare un siffatto stato di cose si era aggiunto anche l'aggravamento della crisi dell'Accademia fiorentina gia'iniziata alla fine degli anni Quaranta quando i giovani allievi iniziarono a non riconoscersi piu' in quella istituzionale sclerotica, tacciata anche di propagandare le idee della restaurazione. Prendono cosi' corpo le aggregazioni spontanee dove i giovani pittori iniziano ad andare a scuola dai colleghi piu' anziani e tutti insieme si recano a dipingere all'aperto: non si tratta ancora di pittura dal vero ma iniziava un modo di esprimersi piu' libero.

Questi fermenti animarono il Caffe' Michelangiolo, luogo storico della macchia. Gli artisti che lo frequentavano erano un gruppo variegato che comprendeva tutte le correnti pittoriche di quel periodo: si discuteva di paesaggio ma anche sul modo di riformare, in chiave piu' nuova, il quadro di storia antica aggiornandolo sui registri elaborati da Delaroche che davano uno stampo piu' realistico alle scene storiche. Infatti, alla fine degli anni Cinquanta, era ancora il quadro di storia antica a tenere banco e ad essere ritenuto fondamentale per lo sviluppo di una carriera artistica. Al folto gruppo dei Macchiaioli toscani composto da: Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Serafino De Tivoli, Cristiano Banti, Raffaello Sernesi, Adriano Cecioni e Diego Martelli, dal 1849 al '61 si aggiunsero il napoletano Giuseppe Abbati, il pugliese Saverio Altamura, il veneto Vincenzo Cabianca, il romagnolo Silvestro Lega, il pesarese Vito D'Ancona e piu' tardi il pugliese Giuseppe De Nittis, il ferrareze Giovanni Boldini e il veneziano Federico Zandomeneghi. Gli animi furono ancora piu' infiammati quando Domenico Morelli, di ritorno dal suo soggiorno parigino, illustro` le novita'francesi toccate con mano, quando Filippo Palizzi parlo' delle novita'luministiche della Scuola di Posillipo e quando Nino Costa incito` tutti a dipingere dal vero come stavano sperimentando in quel periodo molti artisti stranieri nella campagna romana, fra cui Camille Corot. Queste discussioni si acuirono ancora di piu' nel 1859 a causa dello scoppio della seconda guerra d'indipendenza, infatti quasi tutti gli artisti del Michelangiolo partirono per il fronte e i pochi che rimasero a casa parteciparono emotivamente all'evento: la totalita'di essi avverti' il quadro di storia antica non piu' attuale e si rivolse alla storia contemporanea coniugando la macchia con i recenti fatti bellici. Nascono cosi', i quadri militari del Signorini.del Lega e del Fattori, che con l'opera: Il Campo Italiano dopo la Battaglia di Magenta vinse uno dei temi del " concorso Ricasoli" . La pittura militare dei Macchiaioli era antieroica. Nelle loro opere non vi erano episodi eclatanti ne' slanci d'ardimento, ma i soldati erano raffigurati nell'atto di compiere il loro dovere, sebbene fossero consapevoli dell'importante momento che stavano vivendo. Per questo motivo dopo il primo periodo post-unitario, il giovane regno, desideroso di mettere sull'altare di una rivoluzione che gia'considerava conclusa nuovi martiri e nuovi eroi, inizia a ignorare la pittura macchiaiola preferendole quella epica di alcuni pittori romantici, visto che anch'essi avevano iniziato a dipingere storia contemporanea. Dopo Villafranca gli artisti, con l'amaro in bocca per l'esito della guerra, rientrarono alla spicciola a Firenze tornando alle loro sperimentazioni artistiche e nel, 1861, superato il primo periodo fortemente polemico e d'avanguardia, detto chiaroscurale, danno vita a composizioni solenni, pausate e di largo respiro. Questo periodo e' detto tonale. I vertici della pittura macchiaiola vengono toccati quasi negli stessi anni dalla " Scuola di Castiglioncello" e dalla " Scuola di Piagentina". La Scuola di Castiglioncello( 1861-1868) ruota intorno alla figura di Diego Martelli, personaggio eclettico e senza dubbio,col Signorini, il maggiore critico del movimento macchiaiolo. Fu iniziato alla cultura proprio dal padre, l'ingegnere Carlo Martelli,uomo colto, depositario fra l'altro del carteggio foscoliano avuto in lascito da Quirina Mocenni, la donna gentile del Foscolo, imparentata con sua moglie Ernesta Mocenni.

Nel 1861 Diego, alla morte del padre, eredita vasti appezzamenti di terreno nella zona di Castiglioncello che vuole amministrare in prima persona, spinto anche dalle ripetute insistenze della madre; se ne occupera'pero' poco e male. La sua natura, infatti rifiutava l'applicazione metodica e fredda del dare e dell'avere in favore di una piu' libera militanza critica che gli permetteva di placare la sua estroversione e le sue geniali intuizioni: non dimentichiamo che fu tra i primi in Europa a capire l'importanza dell'impressionismo. Frustrato da queste sue inadempienze sfogava la delusione in una vita caotica costellata da continui eccessi soprattutto nella sfera sessuale. Frequentando i postriboli fiorentini conosce Teresa Fabbrini e, dopo anni d'incertezze, decide di farne la sua donna e va a vivere con lei nella sua tenuta lontano dall'influenza della madre. Castiglioncello,all'epoca, era un piccolo borgo di pescatori; non esisteva ancora la caratteristica pineta che infatti verra'piantata ai primi del Novecento e tutti i declivi esistenti erano coperti dalla macchia mediterranea che degradava fino al mare. Quale sfida per questi grandi pittori riuscire a riportare nelle loro opere tutte quelle gradazioni di verde da dover accordare con gli azzurri del cielo e del mare, sotto la forte irrorazione del sole mediterraneo che generava netti contrasti di luce-ombra. Durante quei sereni soggiorni, ospiti del Martelli, i nostri artisti dipingevano non in competizione, ma stimolandosi e consigliandosi a vicenda eseguendo spesso un comune soggetto preso per lo piu' nei pressi di casa Martelli e avente per protagonista quella selvaggia natura. A Castiglioncello soggiornano a piu' riprese il Signorini, l'Abbati, il Borrani, il Sernesi e il Fattori; solamente di passaggio il Cabianca. Si tende a fare concludere questo periodo con la prematura morte di Giuseppe Abbati, deceduto nel 1868 per idrofobia in seguito al morso del suo cane Cennino. È necessario suddividere la "Scuola di Piagentina" in due distinte sezioni : la prima che va dal 1862 al 1864 e ha come capofila il Signorini, il quale dipinge lungo le rive dell'Arno in compagnia dei due pittori francesi Langlade e Madier; la seconda che va dal 1865 al 1870 avente come perno centrale SilvestroLega e la villetta di Spirito Batelli, editore fiorentino che vi abitava con la moglie Paolina e le figlie, la maggiore delle quali, Virginia, con alle spalle un matrimonio fallito, avra'con Silvestro un tenerissimo rapporto amoroso. Piagentina era un lembo di terra appena fuori Porta alla Croce, delimitata: dalle mura trecentesche, dai colli di Fiesole e di Settignano e dal fiume Arno. Percorsa dal torrente Affrico e dai canali d'irrigazione veniva per lo piu' coltivata ad ortaggi che rifornivano i mercati cittadini. Questa terra era costellata di cascinali e villette abitate dalla piccola borghesia fiorentina. In una di queste aveva trovato rifugio la famiglia Batelli dopo il fallimento della loro casa editrice. Il Lega, riscaldato dall'amore, ha una fase felicissima della sua carriera artistica e prendendo a modello le sorelle Batelli e le loro amiche Cecchini ci descrive l'interno e le immediate vicinanze della villa facendoci percepire l'ethos di un mondo fatto di piccole cose, quali il lavoro, l'attenzione per l'istruzione e lo svago quotidiano, nonche' e mai come adesso ci comunica anche l'incanto dell'artista per la bellezza femminile. Nascono dei capolavori assoluti come : il Canto dello Stornello, Visita in Villa e il Pergolato, opere eseguite con rigore quattrocentesco, frutto della sua educazione purista; rigore invece assente nel Borrani, altro protagonista di Piagentina, che in quel periodo anche lui dipinge interni borghesi che pero' prestano piu' attenzione alla cronaca e al lusso, visti quasi con un surplus descrittivo, salvato pero', da una sottile vena irinica presentandoci tali dimore come status-simbol. Il Signorini gia'attratto dalle sirene europee, partecipa di rado alla seconda fase piagentinese dipingendo per lo piu' nei pressi del ponte sull'Affrico. Anche l'Abbati riprende quei luoghi dipingendo il famoso capolavoro Stradina Assolata. Quel mondo che non voglio definire sereno ma almeno tranquillo, fu definitivamente spazzato via dal precipitare degli eventi. La famiglia Batelli era minata dalla tisi e molti suoi componenti da alcuni anni convivevano con essa. Ad una ad una periscono la madre e quasi tutte le figlie; nel 1870 per ultima muore Virginia. Silvestro, gia'logorato dallo svolgersi e dall'aggravarsi della malattia della compagna, in preda allo sconforto e a una forte depressione si rifugia nella natia Modigliana e cessa momentaneamente di dipingere. È invece la pittura di Adriano Cecioni a interpretare al meglio il disagio avvertito dalla societa'italiana e toscana a partire dal 1866-'67, quando la piccola borghesia si rinchiude su se stessa e i nostri artisti comprendono che il governo di quella nazione fortemente voluta non imprime corpo alle loro aspirazioni: lo confermano il tradimento di Aspromonte, l'irrisolta questione romana, la dilagante corruzione politica, la sfacciata speculazione edilizia e la loro verita'artistica non compresa. Nel 1870 cessa il lavoro unitario del gruppo perche' gia'morti l'Abbati e il Sernesi, gia'partiti definitivamente per Parigi il De Nittis, il Boldini e lo Zandomeneghi, e gia'impegnati a tempo pieno in una pittura di genere il Borrani e il Cabianca, sopravvissero, per forza di genio, solamente il Lega, che nel periodo del Gabbro si avvicina per affinita'intellettiva e non per emulazione all'impressionismo, il Signorini, che nei soggiorni di Riomaggiore, dell'Elba e soprattutto di Settignano, tocca i vertici fra i piu' alti della sua produzione artistica, realizzando opere caratterizzate da un forte senso della luce e da una spoliazione formale per lui rara e il Fattori. Che ricerca il dinamismo con opere piu' tarde quali: Lo Staffato e lo Scoppio del Cassone. Poi con il debole Cavallo Morto, con Campagna Romana e con quel capolavoro di Coperte Rosse, facendo cosi' anticipa il Realismo e apre la strada a due grandi pittori del Novecento che definirei post-fattoriani: Lorenzo Viani e Ottone Rosai.

Enrico Guarnieri

Lettura storico ambientalista attraverso la pittura toscana dell' Ottocento


Nell'Ottocento il concetto di ecologia era ancora in divenire, o meglio era ancora da definire perlomeno nell'eccezione che noi oggi accettiamo come consolidata. Pero' la necessita'di puntualizzare attenzioni particolari all'ambiente e alla natura si comincio' ad abbozzare proprio in quel periodo poiche' gli effetti della prima rivoluzione industriale sortirono forme organizzate di produzione che saranno la causa prima, nel secolo successivo, di dissesti e problematiche ambientali.

Dobbiamo dire che le prime riflessioni su uomo-ambiente-natura si posero piu' che in Italia all'estero contribuendo allo sviluppo di nuove forme di pensiero filosofico, storico, letterario,economico, culturale in genere e non di meno di certe forme di sensibilita'in attivita'tipiche come quelle pittoriche, superando confini geografici e politici.

Quindi anche se ancora l'Italia, non unita, era rimasta legata a un'economia prettamente agricola che aveva come perno centrale la mezzadria, comunque idealmente fu toccata da questa nuova " emotivita'" .

In questo contesto storico ambientale nacque il Movimento dei Macchiaioli, effetto di grandi fermenti sia di pensiero che di azione anche in virtu' di un mondo incontaminato che richiamava al sapore dell'antico o meglio al computo del tempo cadenzato da natura e vita . Dovremmo allocare questo indirizzo di pensiero e pittorico nel periodo che va dal 1848 al 1858 in cui si concretizzarono le speranze e le aspettative gia'abbozzate nei primi moti carbonari del '20 come la liberazione del suolo italiano da ingerenze straniere: consolidata visione illuminista dell'uomo e della comunita'libera da ogni condizionamento.

Proprio in questo momento un gruppo di giovani artisti che non si riconosceva piu' negli insegnanti delle Accademie di Belle Arti considerate ormai obsolete, di stampo conservatore e molto appiattite sulle idee della "Restaurazione" , costitui' un cenacolo con lo scopo di scambiarsi le opinioni artistiche e politiche in assoluta liberta'.

Questa aggregazione prendeva via nel Caffe' Michelangelo ubicato nel cuore di Firenze, nell'allora via Larga, oggi via Cavour, meta di incontro di artisti e di intellettuali. La Toscana dell'Ottocento favori', per una moderata politica del duca Leopoldo II di Lorena, l'afflusso di numerosi artisti in fuga dai piccoli staterelli reazionari costituitisi dopo il congresso di Vienna e proprio Firenze risulto' il miglior rifugio per uomini di pensiero libero rivelandosi anche un'occasione di incontro e confronto fra le varie scuole pittoriche. Gli artisti del Caffe' Michelangiolo, pur essendo un gruppo eterogeneo, erano coesi da comune identita': fede in Garibaldi, volonta'di liberare l'Italia e soprattutto di riformare il pensiero pittorico troppo legato al mondo neoclassico.

In questo contesto ci si affido' per lo piu' a esempi francesi, guardano in maniera particolare ad artisti della caratura di Delaroche e Decamp. Questi giovani artisti controcorrente iniziarono ad usare soggetti pittorici sempre di carattere storico ma calati in un ambiente reale sottolineandoli con vigorosi chiaro scuro. In questa situazione di verismo pittorico un ruolo particolare lo svolse la Scuola di Staggia , piccola localita'fra Siena e Firenze, che pur essendo ancora legata all'idealizzazione romantica del paesaggio, ebbe il grande pregio di condurre gli artisti a dipingere in aperta campagna.

Se il Caffe' Michelangelo aveva dato il primo segnale di cambiamento al nuovo, verso il 1855/56 l'atmosfera subi' un cambiamento repentino di indirizzo quando alcuni pittori rientrati a Firenze da un soggiorno francese iniziarono a far circolare i concetti e l'arioso modo di dipingere tipico degli artisti che formavano la scuola di Barbizon .

Pittori quali Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Odoardo Borrani, Telemaco Signorini, Raffaele Sernesi, Vincenzo Cabianca, Cristiano Banti, Vito D'Ancona, poco piu' tardi lo stesso Giuseppe Abbati e grazie anche all'influenza del romano Nino Costa, iniziarono a eseguire schizzi e disegni dal vero: le prime vere opere macchiaiole nascono allora, e si possono allocare fra il 1859/61 . Opere in cui ben si nota la volonta'degli artisti di sottoporre a fredda analisi cromatica qualsiasi oggetto trasportato sulla tela, considerandolo principalmente un problema di masse, di colori e di luci, rifiutandone la rilevanza contenutistica, e il suo messaggio ideologico. Quindi possiamo affermare che i Macchiaioli erano quasi indifferenti al soggetto da rappresentare, ma privilegiavano i mezzi pittorici da impiegare, esprimendosi con vibranti contrasti cromatico-luminosi. I soggetti erano semplificati perche' riassumevano gli aspetti essenziali delle cose e del creato e se questo modo di dipingere era simile a quello gia'praticato nella pittura del Seicento, adesso viene elevato a dignita'di opera compiuta e non di semplice abbozzo . Poiche' era una pittura libera e di virtuosa interpretazione della natura, molti furono i corollari della corrente macchiaiola : i critici sono concordi nell'affermare che le manifestazioni piu' espressive si svilupparono nella Scuola di Castiglioncello e in quella di Piagentina, lembo di campagna fiorentina percorsa dal torrente Affrico e delimitata dal fiume Arno. Questi artisti avevano un senso quasi religioso della natura e delle sue componenti animate e inanimate che ritraevano in tutti gli aspetti. Era l'oicos ove abitava la vita che li attraeva. Dipingendo i contadini al lavoro non facevano critica sociale come i francesi Courbet, Daumier e Millet ma descrivevano un mondo semplice, operoso e i soggetti pittorici adottati esprimevano una dignita'quasi rinascimentale. Si potrebbe dire che fotografavano e interpretavano il mondo naturale che di li' a poco sara'stravolto dalla incipiente societa'industriale. La loro pittura diviene un archivio della memoria e del sentimento. D'altra parte i problemi della societa'francese non erano simili a quelli toscani.

Quello che ci deve fare riflettere e' come con il loro particolare uso del colore abbiano saputo cogliere il rapporto armonico fra uomo e natura cadenzato nel tempo, dal trascorrere delle stagioni, da una vita che va alla meta: cio' che oggi con il nostro correre convulso abbiamo quasi del tutto smarrito.

La figura piu' rappresentativa del movimento dei macchiaioli e' il livornese Giovanni Fattori il quale, anche se per darsi tono si professava ateo, con la sua pittura riesce molto bene ad abbozzare l'idea di un Dio immanente nella natura, inveramento del creato . Essendo piu' intuitivo che speculativo, in molte sue opere coglie l'essenza piu' profonda delle cose e quel suo commuoversi davanti a dei semplici buoi o a dei paesaggi irrorati dalla calda luce del sole gli ha consentito questa forte simbiosi col Creatore: non ce lo dicono le sue parole ma le sue opere inconsapevolmente simili al Cantico di san Francesco o a quei bellissimi versi manzoniani dedicati al creato" ovunque il guardo giro, immenso Dio ti vedo nell'opre tue ti ammiro ti riconosco in me .

Per questo negli ultimi tempi un'arte ritenuta per anni minore come e' stata ritenuta quella dei macchiaioli, e' ritornata alla ribalta del mondo della cultura riuscendo a coniugare insieme natura e vita .

Enrico Guarnieri